Ipsos

home on line

28 maggio 2008

Pistorius: citius, fortius, pariter




Nella storia di ogni emancipazione, esiste un momento in cui debutta sulla scena il concetto di "discriminazione al contrario": il momento cioè in cui la categoria svantaggiata finisce in un modo o nell'altro per imporsi - o tentare di farlo - sulla categoria tradizionalmente privilegiata.
I modi in cui ciò può accadere sono molteplici: dalla sovrabbondanza numerica degli ex discriminati, all'effetto molto penetrante delle misure legislative poste in atto per rimuovere l'originaria situazione discriminatoria. Lo si è visto, negli ultimi anni, in Sudafrica: dove l'ampiezza delle affirmative actions in favore dei neri, unita alla loro schiacciante maggioranza numerica, sta di fatto creando situazioni di (vera o presunta) discriminazione nei confronti dei bianchi.
E proprio dallo stesso Sudafrica ci giunge il primo clamoroso caso di "discriminazione alla rovescia" nel mondo dello sport; o, meglio, dello sport in chiave paralimpica. Protagonista - fin troppo ovvio - quell'Oscar Pistorius che, con le sue protesi in fibra di carbonio, è sospettato di correre più forte dei suoi titolati e normodotati colleghi.
Più che un sospetto, si tratta per molti di una certezza. Cronometro alla mano, non è difficile constatare come atleti menomati nel fisico possano rappresentare il veicolo per introdurre nelle gare soluzioni tecnologiche d'avanguardia, autenticamente in grado - se non già stavolta, di certo in futuro - di consentire prestazioni superiori ai record "normali".
Per quanto riguarda Pistorius, la soluzione della delicatissima diatriba - e dunque la sua partecipazione o meno alle prossime Olimpiadi - è da tempo in mano alla giustizia sportiva internazionale. Ma la nostra riflessione prescinde da ragioni e torti, meriti e demeriti dell'eroico atleta del Gauteng (cui auguriamo di tutto cuore di potersi comunque esibire a Pechino).
Il punto per noi è che - comunque vada a finire la singola vicenda - abbiamo senza dubbio raggiunto un punto assolutamente fondamentale in ogni processo di integrazione: il punto in cui la categoria "integranda" non viene più soltanto agevolata, bensì anche fatta oggetto di critiche, dispetti e limitazioni.
Credo che solo a questo punto si possa dire che un processo di integrazione è (o, almeno, può essere) autenticamente riuscito.
Non è, infatti, vera integrazione la situazione in cui agli svantaggiati tutto viene permesso, agevolato e concesso. Certo, si tratta di un impulso iniziale indispensabile per vincere le lunghe inerzie del passato. Ma è una situazione che, a lungo termine, offende i suoi beneficiari: i quali, nel vedersi sempre solo favoriti, caldeggiati e coccolati, avvertono piuttosto chiaramente di non essere trattati come tutti gli altri, e ne patiscono.
Perché fare interamente parte dello show vuol dire non solo vincere (come Pistorius, che va più forte degli altri); ma anche vedersi sottratta una vittoria (come Pistorius, che usa mezzi secondo alcuni non leciti). Integrazione insomma non solo nel bene, ma anche nel male: come quando nella scuola ordinaria vennero ammessi i bambini portatori di handicap, e le migliori maestre, oltre a coccolarli, li rimproveravano.

C.R.

Nessun commento: